Presentazione della mostra “Vissuto e reale”
Art Esplanade Incontri, Viareggio, 2008
Vissuto e reale
E' intima e personale la pittura di Paolo Vannini.
Lo si capisce quando si entra nel suo studio. In un angolo, un tavolino basso è il teatro per disporre gli oggetti che diventeranno protagonisti delle sue tele: brocche, vasi, bocce da biliardo.
Accanto, quasi fossero degli specchi, i quadri che riflettono quelle nature morte, nate all'interno dello studio, partendo da oggetti semplici e personali, riflesso del quotidiano. Quei vasi saranno spesso riempiti dai fiori del proprio giardino, le ortensie, che il Vannini ama per quelle forme volumetriche rotonde e ampie, che ben si confanno alla semplificazione formale alla quale il pittore sottopone tutto il vissuto e il reale.
E' così anche quando si osservano i quadri che hanno per tema il paesaggio; non più tele nate all'interno dello studio, eco di una memoria o di un ricordo, ma una pittura tutta en plein air, proprio come nella migliore tradizione impressionista.
Quest'ultima corrente artistica è amata da Vannini; nelle nature
morte la classicità dell'impostazione compositiva e la delicatezza del disegno, quasi graffiato, evocano certe reminescenze di impressionismo tardo italiano, alla maniera di Zandomeneghi; tuttavia egli afferma di apprezzare molto Monet per i colori, ma di seguire soprattutto Cézanne. Molte vedute paesaggistiche hanno infatti un'eco del pittore di Aix en Provence; alcune ricordano la montagna di Saint Victoire, altre gli scorci arditi e i tagli fotografici, altre ancora la volumetria, la solida costruttività e le forme geometriche con le quali Cézanne restituiva sulla tela la natura.
Ardengo Soffici nel 1907 scriveva il primo saggio su Cézanne che usciva in Italia.
Questo accadeva non solo perché Cézanne appariva come il fondatore di un'arte nuova e moderna, grazie ad una solidità plastica e costruttiva che superava la frammentazione luministica degli impressionisti, ma anche perché Soffici intendeva fare propri gli stilemi del pittore francese, che aveva avuto modo di vedere durante il suo soggiorno a Parigi.
Vannini, nel 2007, a cent'anni di distanza, sembra tenere viva quella tradizione, riallacciandosi a Soffici nella forma e a Cézanne nella sostanza. E lo fa con una scelta controcorrente, svincolata da ogni moda, rispetto alle tendenze attuali dell'astrattismo o della figurazione contemporanea, scegliendo di seguire la pittura più apparentemente tradizionalista.
Da questa lezione, Vannini persegue un ordine nell'apparente caos delle forme e dei colori; dalla frammentazione dei contorni si creano macchie di colore che devono trovare una logica interna al quadro. L'equilibrio compositivo non deve essere staticità o metafisica, ma “dinamicità ordinata”, ovvero colore puro che crea il concetto di forma: superare alberi, case, cespugli, montagne, per farne gli elementi compositivi del quadro e ritrarli sulla tela con poche pennellate rapide e veloci, con la necessità di cercare l'essenziale, di eliminare tutti i dettagli e di semplificare.
La tecnica impressionista gli è vicina; davanti ad un paesaggio che parla al suo cuore, Vannini sembra accendersi di un fuoco interiore che lo spinge alla produzione, di getto, rapida ed immediata, che i colori, rigorosamente per sua scelta ad acrilico, ben gli permettono. La scoperta dei colori acrilici, funzionali alle sue esigenze, risale al 1964, quando questi arrivarono sul mercato, riuscendo a semplificare molto il lavoro e i problemi tecnici del pittore; rispetto all'uso del colore ad olio, si otteneva più luminosità e trasparenza.
Quando si guardano per la prima volta le nature morte e i paesaggi di Vannini si ha l'impressione di riconoscere una tradizione figurativa ben radicata nel passato; l'artista prosegue questa tradizione con tratti personali, inserendosi nel filone toscano del Novecento, che inizia dai macchiaioli, con la luce di Sernesi e Lega, per risalire attraverso Soffici e Rosai, e arrivare alle architetture dalle geometrie definite di Tirinnanzi – che la pittura di Vannini è capace di ricordare -, e alla semplificazione, essenzialità e unitarietà di Staude, del quale era allievo.
Dal maestro, tedesco d'origine ma fiorentino d'adozione, Vannini apprende che, se il soggetto non ha importanza e i colori sono arbitrari, la scomposizione del “motivo” nei suoi elementi di spazio, volume, luce e ombra, e la successiva composizione del quadro sulla base di valori coloristici e formali dettati dalla “legge intrinseca al quadro stesso”, è la base di tutta la pittura
Il Vannini si inserisce così sulla scia della tradizione toscana più schietta, quella del paesaggismo puro e autentico, genuino, dove le vedute di Settignano o i panorami sopra Fiesole riflettono l'amore per la terra natale, la seduzione che le colline esercitano sull'animo del pittore fiorentino.
L'attaccamento alla terra o il fascino delle montagne sono ben espresse nella serie dei paesaggi di Palazzuolo sul Senio, dove il pittore, durante una villeggiatura estiva si è innamorato della quiete e della tranquillità del posto: ecco che il fervore creativo e la bramosia di dipingere di fronte a una natura che fa vibrare le corde del suo animo, dà vita ad una proficua produzione di paesaggi.
In un presente dove troppo spesso si corre, Vannini si sofferma ancora sulla bellezza della natura, sulla poesia della campagna, non con osservazione passiva, ma restituendo sulle tele qualcosa di antico, che ha fondamenta nel passato e mantiene tuttavia la freschezza del presente, la contemporaneità dei nostri giorni.
Vedere la realtà di oggi attraverso le forme di sempre fa si che tradizione e contemporaneità, realtà e rappresentazione, tecnica e forma si traducano nel quadro.
Il maestro di Vannini Staude, diceva: “non ti puoi immaginare quanto sia difficile davanti al visibile, non fare altro che guardare [...]. Forse ci sarà qualcuno (anche fra i giovani) disposto ad accettare la mia proposta: che in pittura quel che c'è di più bello è il guardare; che il guardare ci conduce in profondità maggiori dell'escogitare; che l'invenzione è la stessa cosa del guardare, dell'osservare creativo; che insomma l'apparenza e il suo significato coincidono”. Forse Vannini sembra proprio quel giovane, oggi cresciuto, che ha seguito più di qualunque altro quell'insegnamento, dando vita con una produzione personale ad una pittura strettamente figurativa, che fa del reale e del veduto il suo fondamento, senza pura contemplazione o sterile meditazione, ma con genuinità e schiettezza toscana.
E' nella produzione di paesaggi e di nature morte che Vannini esprime meglio se stesso; è questo il genere che più gli appartiene, dove si sente più sciolto il bisogno di fare arte, di immortalare di getto case, alberi, montagne, quasi gli venisse naturale restituire sulla tela il veduto, mosso da un bisogno interiore che è predisposizione innata, bisogno, passione e divertimento. La rapidità di esecuzione testimonia l'urgenza di esprimere l'essenziale nella realtà.
La figura umana sembra appartenergli meno, anche se alcune tele ci danno prova dell'esperienza dell'artista in questo genere di pittura con interessanti risultati; natura morta e paesaggio sono sempre state per la grande tradizione occidentale e soprattutto italiana, lo sfondo, lo scenario in cui s'inquadra l'azione dell'uomo; una volta abolito il concetto accademico della nobiltà del soggetto o la gerarchia accademica dei generi d'arte, tutto è materia di pittura; ma è pur vero che la rappresentazione dell'uomo esige di fronte agli oggetti inanimati o agli elementi della natura una aderenza così rigorosa da non permettere scappatoie, pressappoco, accomodamenti. Ecco, Vannini sembra avvicinarsi con una certa titubanza a questo genere, non perché non riesca – Dolce sogno (nudo assopito) o Nudo seduto ce lo dimostrano per la qualità del segno – ma perché questo non è il genere che sente più rispondente a se stesso e alle proprie esigenze di rapidità esecutiva e di ricerca appassionata, quando affronta la complessità della mimesis. Ma questo astenersi dal trattare la figura umana, quasi l'artista volesse saggiare appena campi che si riserva di esplorare più avanti, ci fa venire voglia di sperare che il Vannini prosegua in questo ambito con la stessa freschezza e spontaneità che riserba al paesaggio e alla natura morta.