Presentazione della mostra “Il piacere della vista”

Casa di Giotto, Vespignano, Vicchio (Fi), 2010

 

 IL PIACERE DELLA VISTA

            Also sprach Paolo (così parlò Paolo): un incipit che, salvo il nome proprio, è ruberia letteraria ai danni d'una ex grege quanto fraintesa e strumentalizzata testa pensante tedesca. Così parlò Paolo Vannini, dunque, e per la verità egli continua, con il mezzo della pittura, a parlare nello stesso modo da molti anni, di mossa in mossa ribadendo una sua intima convinzione estetica, poetica, sentimentale.

            C'era una volta (sic, ma non si tratta d'una fiaba) l'arte impegnata o «art engagé», tanto per utilizzare una gallica unione sintattica (ovvero sintagma) tutt'altro che discara agli

intellettuali, organici o no che fossero, organici o no che siano (pare che qualche esemplare tuttora esista, ed insista). Poi, nell'ambito di varie mode e non avulso da altrettante tendenze (due le basilari: figurazione e astrattismo) arrivò il «riflusso nel privato».

Orbene, Vannini non ha avuto bisogno di «rifluire», posto che dal «privato», il suo, ha sempre cavato linfa per la propria creatività d'artista.

           Vogliamo soffermarci un attimo sui 'patres' nobili di Vannini? Chi sono? ….. A nostro giudizio (per nulla incontrovertibile) si potrebbero fare più nomi – concordando con Federico Napoli e Giulia Ballerini -, ma è fuor di dubbio che Paolo non abbia distolto lo sguardo da Cézanne, e di cotanto nome si avvertono nell'opera 'vanniniana' gli echi; echi che del resto non appaiono assenti neppure in Ardengo Soffici (si parva licet ….).

            Chi si ricorda di Fisiologia del Piacere e del suo autore Paolo Mantegazza, antropologo che più di un secolo fa perseguì una sorta di volgarizzazione della scienza ornandola, in qualche misura, del fascino dell'arte? Fra moltissimo altro scriveva, sotto il titolo Dei piaceri della vista (…..): «Il piacere è tanto maggiore quanto più l'oggetto è diverso da quelli che già conosciamo, e quanto più raccoglie in sé gli elementi atti aprodurre piacere. L'oggetto che ci porge questo genere di piaceri si chiama, in generale, curioso, interessante. Tutti nel corso della vita hanno provato o provano di questi piaceri, che vengono poi complicati da molte altre sensazioni della vista o di altri sensi.»

            Vuoi un insieme vuoi di questo un dettaglio, un particolare, attentamente osservati dall'occhio di Vannini provocano in lui un saldo piacere, che poi si traduce in uno più intenso col pitturare, con il sapersi pittore. La propensione ad un esercizio assiduo della vista l'ha probabilmente accentuata grazie agli insegnamenti del suo maestro Hans-J. Staude, tedesco e fiorentino d'adozione del quale Paolo parla volentieri. Ne ha seguito il consiglio dell'essenzialità di una trasfigurazione affidata al colore, peraltro colore non già ad olio come tradizione vorrebbe, sibbene acrilico. Ciò è precipuamente vero quando Vannini indossa la veste a lui più cara, la veste del paesista. E il suo paesaggio non si ammanta di panici sensi, né adotta il rovinismo amato dai romantici (non soltanto da loro). Ancora: niente quadri a tesi, bensì spontaneità che, seppur controllata, non perde freschezza.

                       Nel paesaggio l'impianto cromatico è assai vivace. Ricorre il verde. Le forme possono tendere allo sfaldarsi, ma non arrivano a negare sé stesse allorché concedono la

preminenza al colore che le determina, quel colore tenace nell'ordine mentale e ora marcato, ora soffuso nel riferirsi all'immagine. Essa non è inventata, bensì cercata durante

solitarie 'promenades'. La sua si rivela un'attrazione per le colline che ancora non hanno subìto un eccesso di antropizzazione: sono le boschive colline mugellane e fiorentine, luoghi nei quali non è impossibile trovare ancora del naturale, del territorio dove e casolari e ville e borghi sembrano non voler disturbare più del necessario la madre Terra, la grande Nutrice che ci accoglie da prima e dopo la rigenerazione postalluvionale di Deucalione e Pirra.

                       Ammantata di un caldo, rutilo panneggio, una giovane donna di tipo mediterraneo ha lunghi capelli scuri, se non corvini. Le scendono fino alla mammella sinistra, mentre la destra è decisamente scoperta. Lei china leggermente la testa e l'appoggia al braccio sinistro. In un impianto coloristico 'fauve' ha un atteggiamento pensoso fino alla tristezza: è una delle non molte figure umane che fanno parte, assieme con un ritratto di Carlo Marx, del repertorio di Vannini. Egli preferisce implicare il genere umano con le cose che quello produce, adopera, ammira.

                       Nell'affidare l'idea alla finzione, alla rappresentazione della realtà sensibile (il che non è platonica parusia), il Nostro ama, dopo il prediletto paesaggio, la naura morta per la quale accortamente, con finaltà compositive, sceglie e seleziona oggetti inanimati quali vasi, bottiglie, brocche, magari contenenti fiori e piante. Non difettano tulipani ed ortensie. Non ho memoria di frutta ed animali (ma forse mi sbaglio). Gli effetti multicolori, dal rosso al giallo, dal rosa all'azzurro, non distolgono il figuratore dal disegno. Che qui - nella natura morta – appare più onorato che nei paesaggi. Eppoi, oltre al piacere di regolare la composizione e lo scenario (non di rado lo sfondo è dato dal retro di una tela, sia essa o no dipinta sul davanti), Vannini prova il piacere di determinare la varietà cromatica, la ricchezza delle combinazioni dei colori, sempre diverse da un quadro all'altro e non trovate già pronte, come nel caso di un caseggiato od ulteriore unione che altri anno deciso.

             Sia vero o no che l'arte attraverso la finzione può scardinare la realtà (specie la realtà presupposta), Paolo Vannini nan ha certo la pretesa, né la voglia di partecipare allo scardinamento, Si limita infatti ad invitarci a tenere in considerazione ciò che di gradevole v'è tuttora nel mondo, malgrado una vita metropolitana che scorre viepiù frenetica e non ha tempo per il bello. Mentre ne ha per il brutto

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