Presentazione della mostra “Gli occhi sul mondo”

Associazione Culturale GADARTE, Firenze 1998

 

Gli occhi sul mondo

                        Il mondo visibile non ci inganna: con questo assunto (tratto dal mondo filosofico) di Roberta De Monticelli – o con quanto a monte lo ha determinato – idealmente pare raffrontarsi di continuo la pittura di Paolo Vannini. Con due processi opposti di avvicinamento, cioè con i soggetti prediletti (comunque, non esclusivi) del paesaggio e della natura morta, l'autore giunge al medesimo punto focale: partendo dal primo è come se si ritagliasse un angolo privilegiato (e appartato) di osservazione per riprodurre la costruzione volumetrica della natura nei suoi vari aspetti, talvolta restando un attento osservatore e selezionatore di immagini, talaltra come entrando dentro il soggetto stesso che così lo avvolge ed ingloba. Partendo, invece, dalla natura morta, Vannini compone lui stesso la realtà scegliendo ed accostando fra loro gli oggetti della composizione,

pur mantenendosi attento (e privilegiato) osservatore, nonché accentua la dinamica delle composizioni anche stagliandole su fondi scanditi geometricamente da sapienti pannelli disposti sul retro. Ma in ambedue i casi, le strade percorse convergono sul medesimo punto centrale di interesse per l'autore, costituito da una ricerca di luci, trasparenze, solarità, volumi, ordine.

            Di tratto in tratto passa tra i rami immobili come un fremito leggero che si desta, poi si cheta, e il cielo appare tra le frasche. Lontana è la città colle sue vie roventi, colle sue botteghe che soffiano l'afa, lontani i caffè asfissianti e gli uffici scrive nell'Ottocento Olindo Guerrini – poeta forlivese caro e geniale amico di Renato Fucini – nel suo breve racconto Monte Coronaro: queste stesse immagini e sensazioni sono riscontrabili nella pittura di Vannini, generalmente stesa in acrilico su tele, anche già usate, di medie dimensioni dal formato orizzontale, come a meglio contenere il soggetto allargando il campo della visione. Base della sua pittura appare – a volerle dare un inizio – l'esperienza toscana della macchia per la passione di lavorare davanti al vero, en plein-air; per la scelta di soggetti quotidiani ed in questo senso umili; per la costante attenzione alla visione luminosa di quanto ritratto, talvolta intensificata fino a raggiungere una semplificazione totale della forma; ancora, per l'andare fuori città alla ricerca dei soggetti da ritrarre, quasi sempre nelle immediate vicinanze dei suoi quotidiani spazi d'azione, a sottolineare come vero realtà natura nuovo diverso siano riscontrabili nella nostra stessa dimensione (anche giornaliera), basta esserne ricettivi – così, il mondo visibile non può ingannarci, appunto -.

            Certo è che su questa partenza si innestano, poi, le successive elaborazioni socio-culturali della storia e quindi, nel nostro caso, Cézanne Morandi e Rosai, ad esempio, o Casorati: in tal modo si stempera in Vannini il primitivo assunto, per farsi strada una pittura personale sì figlia di quanto già fatto – come in chiunque, per altro -, ma anche autonoma nel suo affermarsi quale personale espressività. Perché le resta il gusto del colore e il metodo di sintesi della natura propria della macchia, ma di questa le manca ogni descrittività e vena malinconica, preferendo l'autore una pittura più presente a se stessa, quindi più colta perché più intellettualizzata, in tal modo eliminando il rischio di una provincializzazione della propria pittura, in favore di una sua più ampia e ariosa internazionalità. Così i soggetti poveri, in quanto estremamente quotidiani, appaiono nella loro complessità talvolta più individualizzata – con i medesimi osservati singolarmente, ora casa ora albero ora colle, divenuti fulcro della composizione -, talaltra avvertiti e resi più corali – perché, diremmo, fisicamente penetrati, pertanto più distribuiti sulla superficie di lavoro -, con tagli inquadrativi articolati che fanno cogliere appunto le case, le strade, gli alberi, i colli, come insieme di volumetrie precise, strutturate secondo ordinate e consequenziali quinte.

            L'estro dell'inquadratura, l'impaginazione stessa, si tramuta nella pacatezza che pervade l'intera composizione quale estensione del carattere di Vannini, laddove il quadro con trasparenze e con rade ma ricorrenti e decise tracce di disegno appare come una robusta e dosata riflessione su di un ordine costruttivo così come identificato. Certamente la realtà non inganna, ma essa stessa può essere superata svelando si sé un diverso strato sottostante. La riflessività che traspare dalle nature morte e dai paesaggi di Paolo Vannini, dunque, può anche riflettere precise doti, secondo quanto Renato Fucini diceva di Giovanni Fattori: La freschezza senza falsità era nei suoi dipinti.

            E d'altro canto, l'humus culturale fra questi tre personaggi è per molti aspetti il medesimo.

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