Presentazione della personale “Il mio verde fuori le mura”
Galleria Cortina, Roma, 1997
L'anima della Natura
La natura ha un'anima? E' questo un interrogativo di non facile soluzione, che, tuttavia, dato il suo rilevante interesse, può e deve essere affrontato e scandagliato.
Quando la Natura ancora entrava nei cuori puri e semplici degli uomini, il paesaggio toscano su tutti riviveva la sua austera realtà, discendendo dagli occhi ai pennelli, giù giù sino alle tavole ed alle tele di Giotto, Masaccio, Piero, Paolo Uccello, Leonardo, Pontormo, Sebastiano Ricci e poi, via via, nei secoli, sino ai macchiaioli Lega, Signorini e Fattori e, ai nostri tempi, Rosai e Soffici.
Paolo Vannini, fra i contemporanei, risponde positivamente all'interrogativo iniziale; egli, infatti, si ricollega per un verso alla grande tradizione “naturalistica” toscana, antica ed attuale coi suoi paesaggi ove appaiono isolate case coloniche contornate da austeri cipressi (penso in particolar modo ai quadri di Soffici: “Casa del Torrigiani”, “Il Concone” e “Casa del Berna”) e lecci e pioppi e forre bombate e grandeggianti, verdi di infinite sfumature. Mi riferisco in particolare a “L'Ombrellone”, grossa quercia a forma d'ombrello, alla cui sinistra si stagliano le “guglie” di alcuni cipressi e una casetta rossa.
Oppure “L'orso e il cavallo” (un orso e un cavallo ritti aventi dinanzi un piccolo orsacchiotto che li osserva): tante campiture di verdi su verdi, di taglio neo-fauve, con alberi d'alto fusto e, sullo sfondo, un cielo azzurro attraversato da “lance” rosa. Ma accanto a questo aspetto più appariscente ed esteriore, ve n'è un altro più segreto, nascosto. La Natura, infatti, nelle opere di Vannini, ci si presenta verde, densa, un vero “corpo” visibile, chiaro ed apparentemente “normale”, ma così non è: quella Natura ha invece un'anima “segreta”, composta di misteriosi personaggi che s'annidano in essa, ritrosi, timorosi d'essere scoperti. Essi vivono la loro vita segreta all'”interno” delle verdi forre, delle cime lussureggianti dei pioppi e dei lecci. Sono quasi un “noumeno”, un modello meraviglioso, ascoso, principio primo della verde esistenza di tutta la Natura.
Ma qual è il principio informatore di questa problematica? L'Esoterismo (esòteros = interno). Questo termine risale agli insegnamenti impartiti presso alcune scuole filosofiche dell'antica Grecia. Insegnamenti riservati ai discepoli più istruiti, o anche solo a pochi “iniziati”. Per Pitagora la Natura e il destino degli umani si possono “enumerare” e quindi “individuare” attraverso i numeri. La Natura è infatti un grande corpo vivente e operante, in continuo divenire. Al suo interno vi sono numerosissimi “numeri” che corrispondono ad altrettanti “esseri”. Essi, tutti insieme, formano l'Anima della Natura. Questo ha compreso Vannini, ed è questa la sua grande agnizione: una coscienza nuova delle cose che permette al Nostro anche una definizione personale del linguaggio paesaggistico, che si baserà poi ed in modo sempre più effettivo, sulla funzione espressiva e simbolica del colore, usando sì un nervoso tratteggio di stile cézanniano, ma su ritmi prodotti da rapporti reciproci di forme pure, “incontaminate”. La “naturalità”, in tal modo, diviene cosmica e il suo “principio informatore” si identifica con l'Anima. Questa è, comunque, un'Anima purissima, sottilissima, impalpabile, anche se ognora viva, presente, immanente in tutti gli “esseri” della Natura, che di tale “anima” sono partecipi e coscienti.
Nel “Pioppo e il Drago”, ad esempio, il pioppo verdegiante, maestoso, delineato da dense scaglie di variegati toni di verde, si presenta come una “visione”della natura; dal lato opposto, sulla destra, un giovane “drago”, quasi immateriale, seminascosto, s'affaccia timido a guardare con una limpida pupilla verde-gialla, curioso e sensibile come un “cucciolo” birichino. Un incantesimo, un “attimo fermati sei bello” e appare la poesia, la poesia che tutto invade e tinge di verde.
Altri “personaggi” magici s'incontrano in diverse altre opere di Vannini, come nel “Ranocchio”, ad esempio. In quest'opera si scorgono, da sinistra verso il centro, alcuni alberi azzurro-rosa, con accanto basse casette. Sullo sfondo, in un controluce azzurro, montagne con fondo rosa, stagliantisi contro un cielo rosa striato. A destra, di primo acchito, spicca quella che sembra una verde forra, ma che invece, osservando meglio, risulta essere un verde “ranocchio”, rannicchiato, pronto a spiccare un grande balzo, che, come nella favola, diventerà poi un “volo”. Egli, difatti, dispiegando le “ali” del suo ampio mantello, sorvolerà sorridente prati e valli, per trasformarsi infine in un bellissimo “Principe azzurro”. Metamorfosi meravigliosa! Ma il “ranocchio”, nel quadro, sta sempre per balzare; è pronto, prontissimo, ma non balza mai....
Ecco, la pittura di Vannini trascende il dato naturalistico per diventare “visione” intensa, significativa, di un “lirismo emotivo” che tutto “ingloba”, ma che anche tutto “trasforma”, perché la sua “essenza” e “presenza” e il paesaggio esteriore diviene perciò stesso “intimo” e da esso, quasi per incanto, scaturisce allora l'apollinea bellezza dell'”Anima della Natura”, nella profonda identità di astrazione concettuale e concretezza reale.