Presentazione della mostra “Il colore e la memoria”
ex Biblioteca Comunale di Ronta, 1996
Diceva il grande Leonardo che “l'azzurro e il verde non sono di per sé semplici, perché l'azzurro è composto di luce e di tenebre; come è quel dell'aria, cioè nero perfettissimo e bianco candidissimo. E il verde è composto d'un semplice e d'un composto, cioè si compone d'azzurro e di giallo”.
Sono trascorsi cinque secoli da quelle riflessioni, poi confluite nel celebre “Libro di Pittura” leonardesco. E farà forse piacere a Paolo Vannini, così appassionato sperimentatore delle gamme dei verdi e degli azzurri, sapere che proprio in alcuni dei luoghi da lui frequentati (poi vedremo quali) si dice che Leonardo possedesse una vigna, forse una casetta. Ma certo saprà, Paolo Vannini, appassionato pittore en plein air, che poco sopra quella vigna, su uno dei colli fiesolani dolcissimi (fra i più cari anche a chi scrive), Leonardo compiva alcuni dei suoi ardui sperimenti sul volo degli uccelli.
Arrampicandosi sul Monte Ceceri, Leonardo raccolse un giorno anche una foglia di quercia, che puntualmente disegnò con straordinaria poesia su quel taccuino commovente che ora è conservato alla Biblioteca di Torino.
Spostiamoci allora, con gli occhi di Paolo Vannini, sulla collina del Salviatino, sotto il Monte Ceceri e sulle altre colline dei dintorni: dall'Olmo a Maiano, da Ponte a Mensola a Settignano, da San Domenico a Fiesole. Una zona, non a caso, amata nel corso dei secoli e ancora ai nostri giorni non solo dal genio di Vinci, ma anche da tanti artisti, intellettuali, critici d'arte e musicisti.
Nelle tele e nei gessetti esposti in questa mostra, poco sembra cambiato rispetto ai tempi di Leonardo. Gli ulivi, i cipressi, le macchie verdi sulle colline sono sempre le stesse. Perfino l'unico ritratto di profilo, illuminato da una luce interiore, potrebbe non avere un secolo di appartenenza. Dunque, un'aria senza tempo si respira nelle opere di Paolo Vannini, di quest'uomo, si perdoni il gioco di parole, dei nostri tempi, appassionato alla pittura fin da giovanetto (appena sedicenne ha avuto il privilegio di conoscere e frequentare un pittore tedesco come Hans-Joachim Staude, che elesse Firenze a sua città ideale).
Il colore e la memoria: dalla fine degli anni Sessanta Vannini si è avventurato nel mondo del colore, ricercando fin nelle più sottili diversità dei toni del verde, la possibilità di interpretare gli alberi che così tanto deve amare. Alberi che talvolta compaiono come protagonisti assoluti, ma che pure quando si accompagnano al muro di una casa, o a un gruppo di case, o al campanile in controluce di una chiesa, sanno rendere un'atmosfera svincolata dall'idea di ciò che scorre e consuma. E sanno fondersi con le pennellate di un cielo talvolta fiabesco, che dall'azzurro perfino arriva a colorarsi di lilla e di rosa.
Anche le casette che come da una grotta oscura appaiono sul fondo di una vallata del Casentino, anche i prati di papaveri della Provenza, anche i tulipani in un vaso, perfino la serenissima Natura morta dietro la quale incombe, quasi monumentale, lo schienale di una sedia, riconducono a un'aura sospesa, vorrei dire forse anche senza spazio, dove i luoghi della memoria sono solo i propri. Di colui che dipinge e di coloro che guardano e possono reinterpretare con i sensi della personale memoria.
Ed è questa, io credo, la poesia della pittura: per un caso molti dei luoghi dipinti da Vannini sono quelli che amo ed ho più amato anche da ragazzina: ma sarebbero ugualmente evocativi di un mondo che vorremmo sempre più amico dei nostri pensieri, dei nostri sogni.