Presentazione della mostra “1997 – 2008: un percorso attraverso la 'natura morta'”
Associazione Culturale GADARTE, Firenze, 2008
1997 – 2008: un percorso attraverso la “natura morta”
Il lungo percorso artistico di Paolo Vannini si svolge nel tempo secondo una linea precisa e coerente sia di ricerca tecnica sia di approfondimento espressivo. Tale volontà di raggiungere un modo proprio di raccontare si evidenzia fin dagli anni lontani di apprendistato con H. J. Staude, quando i paesaggi degli amati colli fiorentini vengono in un primo tempo “fotografati” nel loro essere oggettivo, poi rivisti, riletti, interpretati secondo lo stato d'animo di chi li ritrae; la pennellata diviene allora meno rigida a sottolineare la precisione del disegno, ma più fluida, quasi sfumata, così da suggerire come un senso d'irrealtà, di sogno.
La presente mostra – organizzata cronologicamente attorno ad un solo genere pittorico, la “natura morta” - chiarisce ancora di più tale percorso culturale-emotivo e tecnico-pittorico di Paolo Vannini. La scelta di tale genere, infatti, è di per se indicativa di una sicura maturità artistica
qui sottolineata dal ripetersi di soggetti sempre uguali eppure sempre diversi nella loro lettura e nella loro resa pittorica; dalle ortensie che nel tempo si trasformano in globi luminosi, agli enigmatici vasi che, variando di un minimo la loro posizione, suggeriscono pensieri e messaggi diversi.
Sperimentata, seppure raramente già negli anni '90 e ancor prima, tralasciata a favore del “paesaggio” a lungo studiato, interpretato, valorizzato da una pittura sempre più fluida, da colori chiaramente indicativi della lettura emotiva di chi li ritrae, negli anni 2000 la “natura morta” diviene per Paolo Vannini un motivo importante di ricerca e di studio. Gli oggetti inanimati, in un primo momento ripresi nella loro realtà oggettiva, a poco a poco evolvono ad un naturalismo accostante al vero, a poco a poco la loro visione diventa non più descrizione, bensì sentimento, gioia e malinconia delle cose. Vannini s'inserisce così, d'autorità, fra quanti hanno fatto della natura morta un mezzo espressivo e non solo di abilità ed esercizio tecnico riscattandola, per così dire, dalla fama di “genere inferiore” cui era stata relegata dal pregiudizio classicistico. Diffusasi e precisatasi particolarmente nei secoli XVII e XVIII con la pittura fiamminga, quasi contemporaneamente il genere trova in Italia seguaci ed esecutori che, per la prima volta, studiano e presentano scopertamente la realtà nella sua forma possente. Appare ovvio citare come l'esempio più insigne di questo periodo la Canestra caravaggesca dell'Ambrosiana (1596). Successivamente il genere assume caratteristiche espressive diverse a seconda della sensibilità dei singoli artisti ma anche dell'atmosfera culturale dei paesi nei quali si sviluppa, ma sempre espressioni di un reale e rinnovato interesse; lo esercitano e lo variano Romantici, Impressionisti, Macchiaioli e così via fino ad arrivare, in Italia, alle forme di Giorgio Morandi che crea, per così dire, “una metafisica degli oggetti comuni”. Su questa linea di pensiero Vannini costruisce le sue nature morte: piante, fiori, oggetti vengono disposti così da suggerire all'osservatore un preciso messaggio; se il paesaggio resta immutato nella sua realtà e varia solo a seconda dello stato d'animo, del sentimento di chi l'osserva, la natura morta è messaggio “razionalmente” costruito dalla volontà, pensiero, sentimento dell'autore.
Piante e fiori sono i soggetti preferiti dal pittore, ma anche oggetti, vasi soprattutto e strumenti musicali. Vannini costruisce con grande abilità lo spazio attorno alle cose, inclinando un'asse sullo sfondo, piegando l'angolo di un tappeto, spostando appena il punto di osservazione così da ottenere un dilatarsi dello spazio. Si forma così un vano prospettico dove oggetti e fiori rimangono solo apparentemente immobili e immutati, in realtà diversi nel loro linguaggio agli occhi dell'osservatore attento. La luce è altro elemento essenziale di questa pittura; la fonte luminosa, variata nel suo dirigersi, esalta i colori, li investe fino ad annullare le forme, sottolinea alcuni elementi, rende liquida l'acqua dei vasi, contribuisce a delimitare e definire lo spazio.
Abili giochi di luce ed ombre risaltano in Serpenti (2001, n. 1), dove rossi tulipani spiccano sull'asse chiara dello sfondo segnata da una macchia d'ombra, delimitata a destra da una zona scura su cui avanza un tulipano rosso, piegandosi e quasi strisciando a giustificare il titolo dell'opera. E ancora in Roselline (2002), luce e ombra si contrappongono, variata la prima dal gioco dei colori dei fiori spostati a sinistra dell'asse centrale – motivo questo ricorrente in tutte le opere a precisare la profondità spaziale – costruita la seconda dall'ampia quinta buia sulla sinistra del quadro; e proprio questa zona scura sembra attribuire, per contrapposizione, alle protagoniste floreali un senso di tenera timidezza.
Nelle opere successive ritornano ancora protagonisti piante e fiori; tulipani rossi e gialli (2006, n. 10), investiti dalla luce che crea marezzature rosa-azzurro sulla cornice di fondo, e tulipani gialli in due quadri del 2008 (n. 19 e 20), in entrambi dei quali i fiori sembrano stringersi l'uno all'altro, stretti fra loro, mentre nel primo la luce gioca sul vaso di vetro rivelandone i gambi e creando riflessi. Infine le ortensie, ora multicolori e vivaci (2004, n. 34) sulla cornice rosa-azzurro dello sfondo, ora bianche (2004, n. 21) ma accarezzate teneramente dalla luce che sfuma il loro candore in splendore rosato. Più tardi Vannini riprenderà ancora il tema delle ortensie bianche (2007, n. 48), creando notevoli effetti di colore sullo sfondo verdastro, la cui profondità è evidenziata dallo spostarsi laterale del vaso. Ed infine nel 2008, sullo sfondo verde attraversato da un'asse verticale marrone, ecco che ancora una volta compaiono le bianche ortensie (n. 49) disfatte dalla luce e trasformate in palloni luminosi.
Recentissimi i due quadri dove non sono più protagonisti elementi floreali ma semplici oggetti.
“I sette samurai” (2008) hanno come oggetto, appunto, sette vasetti, cinque di terracotta, gli altri di smalto, ed è notevole l'abilità con cui il pittore è riuscito a variare fra loro il colore dei primi cinque senza nasconderne la comune materia o diminuirne la consistenza: lo smalto bianco del quinto si accende di riflessi, mentre il blu dell'ultimo gli si contrappone. Contemporaneo a “I sette samurai” è il dipinto “Maschera e musica (2008, n. 3); su uno sfondo forse più movimentato del solito costituito da tre cornici diversamente disposte, si situano tre strumenti musicali: una tromba, una chitarra, una balalaika. Gli strumenti vengono rappresentati nella loro reale consistenza, disposti su vari livelli ma ugualmente indagati e precisati; a completare l'insieme, una maschera enigmatica e solitaria, che offre soluzioni infinite di lettura dell'opera, senza peraltro precisarne e neppure suggerirne una. E proprio questa mancanza di una distinta chiave d'interpretazione, mancanza voluta e ricercata dall'autore, costituisce il fascino dell'opera, aperta ad ogni valutazione, indagine, riflessione.
E, forse, proprio in questa capacità di spingere a riflettere, a studiare, interpretare, cercare di comprendere ciò che è sottinteso è il merito più alto di questo genere pittorico; e naturalmente di chi lo ha interpretato nelle sue opere, studiando, esercitando, amando la natura morta: come Paolo Vannini appunto.